Il Monte generoso

( brano tratto da: “STRENNA del Corriere del Lario” del Gennaio 1875, edito a Como dalla Tipografia di A.Giorgetti).

Il brano è stata inviato all’Associazione  l’ 11 aprile 2012 dal Sig. D. Z. che proponendocelo, ci ha consentito di darne lettura pubblica in occasione della serata di proiezioni sulla Valle e sul suo territorio tenuta nel mese di agosto dello stesso anno a MURONICO (fraz. di DIZZASCO).

I contenuti del brano sono strettamente legati alla geografia, alla storia della Valle e del  vicino Ticino.Il linguaggio, pur sembrando antiquato, riesce a coinvolgere il lettore.

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Questo monte, che da alcuni anni si acquistò colle simpatie dei turisti una incontestabile rinomanza, porta vari nomi in quanto che lo appellano eziandio Giannero, Gìonaro, Calvagìone e Mendrisone.

Esso forma parte di quel gruppo prealpino meri­dionale che separa la valle del Ceresio da quella del Lago di Como, e segna il confine affatto convenzionale fra il Regno d’Italia e quel lembo di terra italiana che trovasi aggregato alla Confederazione elvetica.

Si eleva il Generoso lungo la sponda orientale del ramo meridionale del Lago di Lugano, e precisamente al nord di Mendrisio, grossa e bella borgata ticinese. Il suo versante occidentale, pertanto, o meglio di nord-ovest, è territorio svizzero, come lo è eziandio il meridionale, che versa le sue acque nella valle di Muggio, o della Breggia. Il versante orientale allo incontro, o di nord-est, spetta alla Provincia di Como, e propriamente al Mandamento di Castiglione, formato dalla amenissima e giustamente rinomata Valle Intelvi.

L’ altezza a cui si erge il Generoso si misurò da Dufour di metri 1698 ; Oriani e Welden la portarono a metri 1731, ed il dottor Lavizzari a metri 1739. Queste ultime e poco sensibili differenze derivano forse dall’avere misurato 1’una piuttosto che 1’altra delle due cime con cui termina il monte. Infatti 1’una cresta, sita verso settentrione e su territorio lombardo, è più umile dell’altra che si eleva piuttosto verso mezzodì e su territorio elvetico, e supera la prima di ben sei metri. Sulla prima, cui taluni appellano di preferenza Calvagione, riservando all’altra il nome proprio del monte, sorse da lunghi anni una piramide alta circa due metri, ed eretta come un segnale trigonometrico per la triangolazione cominciata dagli astronomi al tempo del primo Regno d’Italia, e proseguita poi dagli Ingegneri del rinomato Istituto geografico militare di Milano, quando lavorarono a fare la gran Carta geografica dell’ Italia. Sul fianco dell’altra più superba vetta una pietra infitta nel terreno portava incise da una parte le parole: Repub­blica italiana, dall’ altra quelle: Repubblica svizzera, e segnava per tal guisa il confine fra i due Stati, quali erano dessi al principio del secolo.

Da varie parti si accede al Generoso ; e per diverse vie, quali più quali meno facili ma tutte scevre di pericoli, se ne conquista la cima.

Il versante italiano offre agevolezza molta di salita in quanto che da Osteno, sul ramo orientale del Ceresio che termina a Porlezza, come da Argegno, sulle amene sponde del Lario massimo, si può con cavalcature recarsi in poco più d’un paio d’ore all’al­tipiano della Valle Intelvi. Ivi in località abbastanza gradevole sorge 1’albergo del Paraviso, a breve distanza da Lanzo, paesello delizioso, e per singolare salubrità ed amenità dei dintorni ricercato da quanti amano correggere coll’ aria pura e balsamica dei monti i sinistri effetti fisici e morali del miasma cittadinesco.

A questo nuovo albergo, che nella buona stagione offre al viaggiatore ogni desiderabile conforto, diè vita una sorgente minerale scoperta da pochi anni in luogo. L’acqua che ne scaturisce è limpida ed incolora, ma dotata di sapore ferruginoso e di odore manifesta­mente solfureo. Infatti l’analisi chimica rinvenne in essa parecchie sostanze fisse, come carbonato di calce, sali alcalini, ossido ferrico e silice, ed altre sostanze aeriformi, come acido carbonico libero ed acido solfì­drico. Per la qual cosa l’acqua del Paraviso fu inscritta fra le minerali solfo-ferruginose, ed i medici, non senza frequenti motivi di soddisfazione, ne consigliano l’uso sia per bagno, sia per bevanda. Così l’albergo del Paraviso è anzi tutto uno Stabilimento sanitario, e la copia dei frequentatori costrinse già ad ampliarlo, per meglio sopperire al crescente concorso.

Dall’albergo del Paraviso l’ascesa alle cime del Generoso richiede tre ore circa, e la si può fare con cavalcature, le quali per altro lasciano vivo il desiderio di bardature meno rozze e meno incommode. La via, o piuttosto il sentiero alpestre che si percorre, serpeggia lungo i fianchi del monte; ed ora costeggia una graziosa e verdeggiante valletta, ora striscia sulla cresta, e domina valli e monti ricchi di panorami svariatissimi ed incantevoli, ora attraversa fitte bos­caglie, dove tra mezzo alle fronde degli ontani e dei faggi spiccano i corimbi vermigli del sorbo ed i grappoli dorati del citiso, oppure passa per prati verdeggianti e fioriti, in cui pascolano le mandre dei frequenti cascinali alpini, nei quali si possono avere latticini squisitissimi.  Presso alle estreme   vette del Generoso però conviene lasciare le cavalcature, giacché il sentiero più aspro e ristretto rende alquanto ma­lagevole il loro camminare. Ivi per un certo tratto si avanza sulla cresta del monte, la quale si eleva dolcemente verso la più modesta vetta settentrionale, e già si incomincia a spaziare maestosamente coll’occhio così per gli immensi piani lombardi, come fra le valli  profonde  e le  sterminate  giogaje  delle Alpi.

Dalla vetta settentrionale per breve e non arduo cammino si arriva alla meridionale, che dista dalla prima non più di trecento metri, e termina con un piccolo piano erboso. « Qui comincia l’Italia, qui ha principio la Svizzera, dice il dottor Lavizzari ; qui posiamo sotto il cielo di Dante, di Colombo, di Leonardo, di Raffaello, di Galileo, qui viviamo sul suolo di Eulero, di Haller, di Rousseau, di Bernouilli, di Saussure. Qui 1′ anello delle due nazioni, qui la terra dei vulcani tocca la terra dei ghiacciai, qui cessano i lauri, i mirti, qui incominciano i licheni, gli abeti, qui la Rosa delle Alpi s’ intreccia colla Peonia peregrina, qui il Ranuncolo glaciale s’annoda alla Silene insubrica, qui infine la flora del Medi­terraneo  si sposa  alla  flora germanica ».

Dall’ eccelsa rupe il panorama è sterminato non meno che incantevole; ma come descrivere la scena maestosa che si presenta? « Come, disse a giusta ragione il Kramer, rivestire l’arida nomenclatura dei monti, dei villaggi, delle città, dei laghi che scorgiamo, con forme adatte a tradurre in parole la sensazione di rapimento che si impadronisce di chi, in mezzo a quell’ aere purissimo e trasparente, volge in giro lo sguardo, incerto ove riposarlo in così sterminato orizzonte ? »

Dall’ un lato infatti schierasi la immensa catena delle Alpi nevose, e vi si contano tutte le cime più eccelse e più rinomate, che dal tirolese Ortler-Spitz si succedono l’una all’altra fino al romito ed accuminato Monviso, che, quasi sentinella avanzata, sembra vigi­lare i valichi alpini, minacciati di continuo dai gelosi nemici dell’ Italia risorta. Dall’ altro lato, come a chiudere la immensa cornice di quadro cotanto gran­dioso, si elevano le Alpi Graie e le Marittime, e i foschi Apennini, che dalla estrema Liguria scorrono attraverso all’ Italia centrale lungo la sponda destra della valle del Po, finché dalle Romagne si ripiegano verso mezzogiorno. I ricchi e popolosi piani della Lombardia e del Piemonte, colle loro cento città e borgate, e colle fiumane che li intersecano in tutti i sensi, e colle loro ridenti colline, sparse di innumerevoli caseggiati, e per una scala interminabile ascendenti dolcemente fino alle Prealpi, e da queste alle più sublimi sommità alpine, ecco il piano di questo anfiteatro senza fine e senza pari.

Chi può contare i borghi, i villaggi, i castelli, i santuari, le ville, i casolari che siedono lungo i fiumi, in seno alle valli, sui colli, sui monti, e formano quasi un labirinto inestricabile? « Le naturali bellezze del monte Generoso non possono facilmente essere descritte, ripeteremo noi pure ; né v’ha pennello maestro che valga a riprodurre lo svariato giuoco della luce e delle ombre che ad ogni istante mutano le fugaci tinte del quadro. »  E queste si fanno straordina­riamente più belle e più seducenti quando i raggi del sole nascente vengano a dorare le cime nevose dei monti, penetrino a segnare le ombre delle valli e ne inargentino le nebbie e le acque, ed espandano sui piani quella luce che li vivifica, e ne svela tutte le più recondite bellezze.

Se non che quando l’occhio, stanco benché non sazio di spaziare per siffatto orizzonte sconfinato e svariatissimo, si raccoglie e si fissa con predilezione su l’uma o l’altra delle località più appariscenti, egli è certo che nuove bellezze il colpiranno, e nuove impressioni commuoveranno 1′ animo dell’ am­miratore. Le Prealpi ticinesi e le comensi formano attorno al Generoso un contorno pittoresco di cime e di valli, sul quale il variabile giuoco di luce e di ombra produce i più ammirabili contrasti. Che se avanzate verso il bordo di quel piccolo altipiano, non mancherà in voi un senso quasi di spavento quando vedrete il monte scosceso e dirupato cadere quasi a picco sul Lago di Lugano, che a’ vostri piedi si contorce nei molti e bizzarri suoi seni. Eppure nei labirinti di quelle orride balze scendono spesso gli audaci abitatori della Valle Intelvi, e ne staccano lastre di pietre calcari, cui a modo di ardesie usano per coprire i tetti. Più d’uno trovò la morte fra quei dirupi; ma altri pigliarono il posto lasciato da lui, imperocché l’uomo non si stanca mai dal tormentar la natura, anche quando essa gli si mostra più ritrosa de’ suoi doni.

Se non che il ricordo di quelle orride balze mi richiama alla mente una pietosa avventura che mi venne un tempo narrata da’ parecchi fra i terrieri della Valle Intelvi.

In altro de’ paesi di quell’amena vallata viveva anni addietro una ragazza per nome Maria, che era non solo 1’unica consolazione della vedova genitrice, ma formava altresì un prezioso ornamento del paesello nativo. La Maria infatti era angelicamente bella, e l’occhio azzurrino, i capelli biondi, l’ovale perfetto della faccia ed i delicatissimi lineamenti  ricordavano al vederla le indimenticabili teste delle Madonne del Luino. Inoltre essa era altrettanto virtuosa e buona; per cui se ne ammirava la beltà e non meno si pregiavano le doti di lei, e singolarmente 1′ animo affettuoso e caritatevole.

Con lei era cresciuto dall’infanzia Antonio, figlio di un contadino che lavorava i propri campi, ed inoltre nella state teneva sui fianchi del Generoso altro dei cascinali alpini che nella calda stagione danno ricovero a numerose mandre di bovini. Antonio era pure bello, aitante della persona, e quel che più importa buono e laborioso. Al di lui amore al lavoro ed alla di lui intelligenza attribuivasi da tutti tanto il florido aspetto dei campi a cui egli consacrava le sue cure, come il reddito cospicuo che ogni anno soleva dare l’Alpe, tenuto da lui nel miglior modo possibile.

La frequente domestichezza degli anni infantili suscitò tra Maria ed Antonio da prima un reciproco scambio di simpatia, che col crescere degli anni non tardò a tramutarsi in affetto più vivace e più intenso. Quei due esseri, che sembravano dalla mano amorevole della natura plasmati 1′ uno per 1′ altro, si amavano teneramente; così che, annuendo con gioia i genitori d’entrambi, si strinsero i patti d’un connubio, e si deliberò che le nozze si dovessero celebrare nel ve­gnente inverno.

Frattanto Antonio nell’estate recossi come di solito all’Alpe, e di là, quando appena le occupazioni sue glielo permettevano, recavasi alle vette del Generoso, e scendendo fra le sue balze scoscese raccoglieva alcune di quelle lastre occorrenti per compiere i ristauri della modesta casuccia, della quale voleva fare il nido de’ suoi amori. A siffatto lavoro talvolta egli aveva compagno un altro giovanotto suo compaesano, Giovanni, il quale coll’arte del tagliapietre cercava di mascherare la vera sua professione, che era quella del contrabbandiere. Costui era il rovescio della medaglia del buon Antonio, imperocché la vita scioperata che egli conduceva, le cattive compagnie con cui frequentava le osterie ed i bagordi, i facili guadagni di un mestiere pericoloso e fuori della legge avevano corrotto l’animo di lui, e ne avevano fatto un vizioso. Anche Giovanni aveva adocchiato la bella Maria, ed erasene invaghito di quell’amore però che è possibile ad un cuore roso dalle prave abitudini ; sapeva per altro del di lei affetto per Antonio, ed era sicuro che ogni suo sforzo per distoglierla sarebbe stato fatica sprecata.

Un giorno Antonio e Giovanni lavoravano appunto fra le spaventevoli balze del Generoso, ed ambedue erano sul breve pianerottolo terminale d’una di quelle gigantesche colonne che elevansi al di sopra di pro­fondissimi burroni, e richiamano alla mente i titanici colonnati della famosa grotta di Fingali. Antonio era chinato sull’orlo di quel piccolo piano, quando un brusco movimento di Giovanni venne a colpirlo in un fianco di guisa che, perduto l’equilibrio, precipitò nell’abisso.

L’annuncio doloroso giunse rapido al paesello d’ An­tonio, ed i terrieri corsero sul luogo del disastro; ma non vi raccolsero che il cadavere sfracellato del povero Antonio, cui recarono all’ultima dimora, accompagnandovelo colle lagrime sincere della intera popolazione. E, passato il primo impeto del dolore, fu un chiedersi a vicenda se al caso oppure a premeditazione si dovesse 1’urto per cui Giovanni gettò Antonio nel precipizio. Si aprì un’inchiesta, che finì colla funesta dichiarazione del non farsi luogo a procedere per mancanza di prove; e non se ne disse altro.

Qual fosse il dolore della povera Maria all’annuncio del disperato caso m’è impossibile il dire. Chi ha cuore, chi ama od ha amato da senno il comprenderà di leggieri. La infelice ragazza, che si vide in modo così spietato rapito 1′ oggetto del suo puro e diuturno amore, non pianse, poiché il dolore le impietrì le lagrime sul ciglio. Soffocò l’affanno che la opprimeva per tema di affliggere di soverchio la vecchia genitrice, e nel silenzio della sua cameretta giurò fede all’estinto, e si ridusse a vivere solo colla cara memoria di lui. Ogni giorno un po’ prima che annottasse la si vedeva volgere il piede verso quel sacro recinto che i tedeschi poeticamente appellano il Campo della pace, ed ivi sulla tomba del suo Antonio pregava e piangeva, e quel pianto e quelle preci soltanto avevano la magica potenza di lenire i di lei patimenti. Quanti la incon­travano per via o la contemplavano genuflessa sulle zolle del Camposanto, la salutavano rispettosamente, e si traevano in disparte, e non di rado una lagrima spuntava sul loro ciglio, giacché sul volto di lei leggevasi un dolore senza fine e  senza tregua.

L’animo dell’infelice ragazza era inoltre tormentato da un dubbio inesplicabile ma doloroso, in quanto che appena seppe della disgrazia toccata ad Antonio, essa sospettò che a semplice accidente non si dovesse la fatale di lui caduta. Ed il sospetto divenne in lei prepo­tente quando, poco dopo la morte di Antonio, Giovanni raddoppiò attorno a lei le sue insistenze, ed osò farle giungere all’orecchio parole d’amore. Essa le respinse sdegnosamente, rinnovando con animo più fermo che mai il giuramento di fedeltà al primo, all’unico in­dividuo pel quale palpitasse il suo cuore. Ed allorché, qualche anno dopo la madre di lei venne a morte, Maria sparve dal paese natio, e solo parecchi giorni dopo una sua lettera al Parroco ne diede notizia. Ella scriveva da Lugano, ove erasi ritirata in un chiostro di Suore della Carità ; annunciava la sua volontà di vestirne l’abito, e legava ai poveri del paese tutti i modesti suoi averi. Fatta monaca, Maria fu esempio di bontà e di virtù alle compagne, le quali pur troppo non ismentivano la sentenza di chi disse che « si uniscono senza conoscersi, vivono senza amarsi, e muoiono senza riconciliarsi. » II dolore, che non trovò tregua né fra le mura del chiostro né fra i continui atti di pietà e di carità, consumò in breve volgere d’anni un’esistenza cotanto angosciosa, e Maria, colla fede di rivedere e di ricongiungersi eternamente al suo Antonio, sorrise con gioia all’ul­tima sua ora.

E di Giovanni che avvenne? I sospetti sinistri sulla parte che esso ebbe nella disgrazia di Antonio non erano esclusivi all’animo di Maria, giacché molti altri li dividevano con lei. Per la qual cosa gli onesti rifuggirono il consorzio di lui, ed a poco a poco egli vide formarsi il vuoto attorno a sé. Coi bagordi egli tentò di rispondere all’ostracismo a cui condannavanlo i suoi conterranei, e forse fra gli stravizzi cercava eziandio di assopire i rimorsi ond’era dilaniata l’anima sua. Si diede quindi sempre più al contrabbando, e vi perdurò più anni, finché un giorno sparve egli pure. Alcuni l’avevano visto partire di buon mattino e dirigere il passo verso il confine, malgrado il tempo perverso e nevoso; nessuno lo vide far ritorno, né altro seppesi di lui finché nella primavera alcuni pastori nel profondo d’ un vallone poco discosto dall’ Alpe Grande rinvennero un cadavere. Venne riconosciuto per quello di Giovanni il contrabbandiere, ed a fianco ad esso si rinvenne pure la briccolla, vale a dire il sacco che suole caricarsi sulle spalle chi fa il trasporto delle merci di contrabbando. Si seppe allora che alcuni contrabbandieri furono un giorno inseguiti dalle Guardie doganali nel mentre che dall’Alpe d’Orimento scendevano verso S. Fedele; e si suppose che Giovanni, caduto in quel vallone nel quale 1’uragano aveva raccolto immensa quantità di neve, vi rimanesse sepolto e vi morisse assiderato. Così scomparì anche l’ultimo attore di quel doloroso avvenimento, e con esso fu sepolto il mistero della disgraziata caduta di Antonio.

Chi dalle vette del Generoso getta lo sguardo sulle orride balze che gli stanno ai piedi rammenti la povera Maria; imperocché cotanto amore e cotanto dolore meritano d’ essere ricordati da ogni anima pietosa.

 

Spettacolo non meno gradevole del sopra descritto offrono al visitatore del Generoso i parecchi deliziosissimi laghi subalpini, che fanno corona al monte, e brillano ora del verde dello smeraldo, ora dell’azzurro dello zaffiro. Il lago di Como verso levante, il lago Maggiore a nord-ovest, il lago di Varese circondato da’ suoi minori fratelli, e qualche altro figurano come tante gemme disseminate nella verzura dei campi e dei colli. Non a torto, adunque, gli ammiratori della sublime natura montanina paragonarono il Generoso nostro al Righi rinomatissimo che s’erge sul lago di Lucerna, ed è ogni anno visitato da migliaia e migliaia di viaggiatori. Che anzi a parer nostro e di altri molti, il Generoso la vince sul Righi, così per 1’aere balsamico e puro e pel cielo azzurro e limpido come per la vastità, la bellezza e la varietà del suo panorama, cui natura dipinse maestrevolmente coi colori più vaghi e nel modo il più seducente.

Sul versante ticinese  varie  strade  conducono  al Generoso, e prima fra tutte merita speciale menzione quella comodissima che da Mendrisio va al grandioso albergo Pasta. Questa via, aperta specialmente pel servizio dell’anzidetto albergo e fino ad esso accompa­gnata dal filo telegrafico che lo pone in comunicazione coll’intero mondo civile, incontra da prima il villaggio di Salorino, dal quale si insinua e si innalza lungo fresca ed ombrosa valle, nel cui fondo scorre il fiumicello More, che, dopo aver dato vita e moto a parecchie officine, attraversa e divide in due l’abitato del borgo di Mendrisio. Attraverso a vetuste selve di castagni, di faggi e di ontani, fra cui tratto tratto apresi un varco e l’occhio spazia gradevolmente sui piani sot­toposti, si arriva dopo un paio d’ ore di viaggio, che può farsi comodamente a cavallo od anche in piccole vetture, al sontuoso fabbricato che con ardimentoso proposito il dottor Pasta di Mendrisio eresse in località assai opportuna.

L’Albergo Pasta, o del Generoso, infatti sorge in un grazioso seno del monte che lo difende dai venti settentrionali e si apre verso mezzogiorno, per cui la pianura lombarda si offre libera e spaziosa all’ occhio del riguardante. L’ edificio si eleva sovra un altipiano a 1209 metri sul livello del mare, contornato ove da ridenti pascoli, ove da folte boscaglie, e gli gira attorno un vasto piazzale, dalla cui parte meridionale si scorge ad occhio nudo Milano colle mille aguglie della sua cattedrale. Sale amplissime adornate con eleganza e buon gusto e senza risparmio fornite di tutto quanto può riescire utile o caro al forastiero, numerose camere da letto ben distribuite ed addobbate con isquisita semplicità, ogni comodità desiderabile e servizio per qualsiasi titolo commendevole e completo, ecco ciò che offre l’Albergo del Generoso,  ecco ciò che in breve ne fece uno dei più rinomati, dei più frequentati e dei più geniali ritrovi alpini. Là a più di mille duecento metri sul livello del mare la posta che ogni giorno reca lettere e giornali, ed il telegrafo a disposizione del forastiero, gli permettono rapporti quotidiani co’ suoi affetti come co’ suoi interessi più lontani, ed una sempre numerosa e svariata comitiva di ospiti d’ogni nazione gli porge modo di piacevoli conversazioni e di graziose distrazioni. Ai quali benefici, singolarmente dovuti alla solerzia ed alla intelligenza del proprietario, devonsi aggiungere quelli non pochi che la natura gli prodiga coll’ aere saluberrimo e balsamico, col clima dolce e fresco anche nei cocenti giorni canicolari, coi sorprendenti e sempre bellissimi panorami che da ogni parte si presentano, coi piacevoli ed ameni dintorni che porgono occasione a deliziosis­sime escursioni. Per le quali cause lo stabilimento Pasta si guadagnò rapidamente una rinomanza mondiale, ed ogni anno sorge urgente la necessità di sempre nuovi ampliamenti.

Dall’Albergo Pasta, vero soggiorno di delizie per quei fortunati che fra le aure purissime e le frescure ombrose dei monti possono sfuggire all’afa soffocante che nella stagione estiva grava su quei grandi ergastoli che sono le maggiori città, parte un sentiero ampio, comodo e praticabile anche alle cavalcature; e questo per una serie di risvolte che si succedono l’una all’altra come le pieghe d’un ventaglio ed attraverso a pascoli verdeggianti, conduce in meno di due ore alla cima del monte, e precisamente alla sua vetta meridionale. Scorrendo così sul fianco sud-est del Generoso, si scorgono nella valle sottostante i villaggi di Muggio, Scudelatte ed Erbone, e poco sotto alla strada, ad un chilometro  circa dall’Albergo  trovasi una fonte perenne di buona acqua potabile. Chi percorre questa via poi non dimentichi di chieder conto alle guide di un’eco polisillaba e multipla che quei del paese battezzarono il monte che parla, e ne sentirà più d’ una volta e distintamente ripetuta una parola pronunciata ad alta voce.

Parecchie altre vie guidano alle cime del Generoso e tra queste, che si potrebbero dire secondarie, è amena e comoda quella che ascende costeggiando l’ampia e maestosa valle di Muggio, viene al Dosso Bello, località memorabile per la stupenda veduta che vi si gode, e di là alla Cascina, gruppo di casolari alpestri eretti fra larghi pascoli ed a breve distanza dall’Albergo Pasta. Quei prati sono dimora prediletta di innumerevoli e vaghissimi fiori alpini, cari grande­mente al botanico, il quale dalla metà di maggio alla metà di giugno ne potrà fare ricca messe, così a ricordo della piacevole escursione, come ad arricchi­mento del diletto erbario.

Altra via ascende pure attraverso alla stessa valle di Muggio, e percorre parecchi dei pittoreschi villaggi che vi sono sparsi. Questa però è troppo lunga, e nulla compensa il molto tempo e la fatica che si spreca a percorrerla.

Parimenti da Maroggia, sul Ceresio, parte altra strada che anzitutto fa capo al grazioso paesello di Rovio, ove eziandio si volle erigere un comodo benché modesto Albergo, il quale torna assai gradito a coloro che si compiacciono delle bellezze e delle curiosità naturali di cui quei luoghi sono dovizio­samente forniti. Da Rovio un sentiero alpestre, aspro e scosceso ma non pericoloso a chi ha il piè fermo e 1′ occhio sicuro, guida al grazioso seno nel quale si erge il  grandioso Stabilimento del dottor Pasta.

Questo si deve oggidì considerare come il centro al quale convergono tutte le vie che sul versante elvetico menano alla vetta del Generoso. E ciò sta bene; imperocché esso offre ai visitatori di quelle regioni prealpine ogni maniera di conforti, non che cavalcature, guide, libri, panorami e tutto, in una parola, ciò che può massimamente essere desiderato e gradito. Chiunque visita il Generoso non può esimersi dallo ammirare come dallo encomiare l’ardimentoso concetto del dottor Pasta; il quale seppe tradurlo in atto con somma sagacia ed intelligenza, così che l’Albergo da lui eretto ha nulla da invidiare ai migliori di cui vanno orgogliosi i luoghi più ricercati e più deliziosi. L’Albergo Mendrisio, sorto di recente nel borgo omo­nimo, completa, per così dire, il sistema, imperocché offre al viaggiatore una vera stazione di partenza per intraprendere con ogni facilità la salita al Generoso. Che se una ferrovia sul modo di quella che mena al Righi, correrà, come si progetta, anche su pei fianchi del Generoso, i prodigi della natura potranno dirsi un’altra volta emulati dai prodigi dell’arte, la quale conterà un nuovo trionfo sulle maggiori difficoltà onde quella le attraversa il cammino.

Per tutte siffatte guise non solo dischiudesi al paese una fonte di onesti e considerevoli guadagni ; ma altresì viene agevolata agli alpinisti del pari che ai dotti la visita e lo studio di una montagna sorprendente per le molte e non comuni sue bellezze, ed inoltre non meno degna d’essere segnalata all’ attenzione dello scienziato per le grandi dovizie che offre allo studioso della natura.

Infatti il Monte Generoso, per rapporto alla forma­zione delle varie rocce calcari che lo costituiscono, appartiene all’epoca seconda della grande èra secondaria o mesozoica, epoca che i Geologi chiamano giurese, perché i terreni formatisi durante la medesima furono studiati e determinati primamente nella catena del Giura. Lo Stoppani nei suoi Studi geologici sulla Lombardia comprese il Generoso in quella formazione affatto speciale, che dalla località ove si presenta più rimarchevole e più fossilifera ei disse Formazione di Saltrio. La quale spetta al secondo periodo dell’epoca giurese, nel quale formaronsi quei terreni che i Geologi appellano del Lias, o liasici, e tra questi la formazione di Saltrio rappresenterebbe i più antichi, ai quali si da il nome di terreni del Lias inferiore. Il sincronismo del calcare del monte Generoso con quello di Saltrio sarebbe, al dire dell’illustre geologo lombardo, provato ad oltranza più che dall’aspetto e dalla natura lito­logica, dal giacimento e dalla disposizione dei terreni, non che dalla identità dei fossili in essi rinvenuti.

La natura mineralogica del Generoso è propriamente la calcarea, e la roccia calcare in questo monte, del pari che a Saltrio, appoggia su altra roccia dolomitica, ed al calcare grigio od affumicato, che prevale, trovasi frammisto il calcare rosso ammonitico ed il calcare bianco, o majolica. Così le rocce costituenti propriamente il Generoso, benché tutte di natura calcarea, presentano però aspetto così diverso da poterne fare tre distinti gruppi.

Il calcare grigio od affumicato o bruno, che dir si voglia, predomina di gran lunga sulle altre rocce, ed i suoi foschi strati sono in singolar modo manifesti sul versante ticinese, ove dal Lago di Lugano si estendono fino alla sommità del monte. Il Lavizzari nelle sue dotte Escursioni nel Cantone Ticino descrive questa roccia, che per la massima parte spetta alla calcarea bruna con selce nereggiante. Essa ha grande analogia con quella che scavasi presso Monte Olimpino per il traforo della Galleria sul tronco ferroviario Como-Chiasso, e talvolta si confonde eziandio colla calcarea bruna bituminosa che forma le montagne di Moltrasio e di Carate. Gli strati di questa roccia, nel Generoso leggermente inclinati verso mezzodì, hanno generalmente una potenza non molto ragguardevole, e verso la cima del monte si fendono facilmente in lastre sottili a guisa di ardesie. La tessitura della roccia è bene spesso semi-cristallina, la frattura scagliosa ma aspra al tatto, ed il minerale è tagliato da venuccie di spato calcare bianco, correnti in diverse direzioni. Così pure vi spesseggiano ora straterelli di calcedonia, ora zone di pietra focaia gialla, rossa o verdastra,  ed ora noduli di selce nerastra.

Molteplici sono gli avanzi di animali e di vegetabili che trovansi petrefatti in questa roccia. Già all’Alpe Grassa appaiono varie specie di Fucoidi a grosse ramificazioni, ed alcuni esemplari di Pettini marini, tra cui prevale il Pecten textorius, cotanto frequente fra i depositi di Saltrio. Ma dove questa calcarea grigia è singolarmente fossilifera è verso la sommità del Monte. Ivi incontransi pietre sulle quali sono in­numerevoli gli Spiriferi, le Terebratule, le Pentacriniti, le Spongiti, fossili comuni eziandio ai marmi di Arzo e di Saltrio. Questi petrefatti poi abbondano in singolar modo in quel breve avvallamento che separa le due estreme vette del Generoso. Non v’ ha dubbio quindi che quelle cime, oggi elevate di oltre mille settecento metri sul livello del mare, furono un tempo un fondo marino, sul quale vissero quegli animali di cui ora troviamo qui le spoglie petrefatte. Le quali, ricche come sono di silice, resistono all’erosione atmosferica meglio   del   calcare   che  le   involge,  e perciò ne sporgono, e si offrono quasi isolate. Migliaia di secoli passarono dall’epoca nella quale vissero quegli esseri, le cui reliquie in un linguaggio che non ammette dubbi ci testificano la potenza sovrumana delle forze naturali, quando a cotanta altezza recarono quei fondi marini in uno ai loro abitatori. Chi avrebbe detto a questi che un giorno i loro cadaveri pietrificati avrebbero sulla vetta di altissimo monte destato le meraviglie del volgo e le meditazioni del dotto, e sarebbero stati illuminati e riscaldati dal sole, e circondati da vaghissimi fiorellini, ed in uno a questi calpestati dal breve piede di gentili signore, ivi convenute ad ammirare uno dei più splendidi quadri che offre la na­tura attuale ?

Il Calcare rosso  ammonitico  rinviensi  esso  pure di preferenza sul versante elvetico.  Esso  appare  da prima in prossimità dei casolari di Cragno, poco oltre Mendrisio, ed ivi racchiude straterelli   di  Calcedonia rossa non che qualche rara Ammonite. Ma dove domina sovrano è all’Alpe Baldovana, ove i  suoi  strati   af­fiorano per vasto tratto, e mostransi dolcemente inclinati verso nord-ovest. Ivi abbondano i fossili caratteristici di questa formazione,  ed  essi  pure presentansi  non raramente isolati dalla roccia, meno consistente e più facile a petrificarsi. Le Ammoniti sono le più frequenti, ed offrono parecchie e distinte specie. Non mancano però i Nautili, gli Aptichi, le Pleurotomarie, i Pentacrini, e vari esemplari di Alghe, o  Fuchi  marini. Né devesi dimenticare che  questi  banchi   di  calcare rosso ammonitico, talvolta assai poderosi, sono sempre adagiati sulla roccia calcarea grigia, ed alla loro volta servono di base al calcare bianco marnoso od argilloso. Questo calcare bianco, detto anche Majolica, suc­cede, adunque, al rosso ammonitico, ed anche i suoi strati non molto potenti arrivano a stento a mezzo metro di spessore. Esso contiene numerosi arnioni variamente grossi di pietra focaia, per lo più bian­chiccia, raramente rossastra. Questa roccia si mostra singolarmente sotto Cragno, alla Cascina, all’Alpe di Mendrisio, e si confonde ove col calcare rosso ammonitico, ove col grigio fosco, senza però giungere con questo alle maggiori altezze. Anche il calcare bianco racchiude qualche fossile, benché ne sia più povero dei suoi congeneri. Per la qual cosa taluni lo vollero collocare fra i depositi inferiori del terreno cretaceo, oppure assegnare ai superiori del giurassico. Da non molto però si rinvennero nella majolica una Belemnite ed un Aptico, generi di molluschi marini caratteristici dell’ epoca giurese, e quindi sembra tolto ogni dubbio sulla contemporaneità di formazione di questo calcare bianco cogli altri calcari costituenti i terreni giurassici.

Il versante italiano del Generoso geologicamente considerato non offre il grande interesse che presenta l’altro, le cui rocce, più spesso scoscese e denudate, permettono di essere più agevolmente studiate e determinate. In generale però anche questa parte del monte ha natura mineralogica identica alla già de­scritta, con prevalenza notevole per parte del calcare grigio. Il rossoammonitico vi è poco o punto manifesto, quando escludansi certe rare e ristrette località ove esso viene quasi a far capolino. La majolica non manca, ed i suoi strati affiorano qua e là, rendendosi facilmente riconoscibili però mediante il loro color bianco, e mediante i molti detriti pure biancheggianti che da essa derivano.

Non vuolsi omettere però quel   « sistema   mera­viglioso   di  morene  insinuate,   come  dice   Stoppani, che si trova sopra S. Fedele in Valle Intelvi, addossato al Monte Generoso. » Chi percorre la via diretta da S. Fedele alla cima del Generoso prima di giungere al pittoresco Alpe di Orimento, posto a cavalcione del punto più depresso della montagna di Rada che da tramontana a mezzodì si estende a dividere le acque della Breggia da quelle della Valle d’Intelvi, attraversa l’accennato deposito morenico, avanzo della grande morena laterale destra dell’ immenso ghiacciaio che un tempo occupò tutta la valle del Lago di Como. Fra quel deposito, sul quale sorge l’Alpe Grande e sul quale verdeggia un bellissimo boschetto di faggio, sono innumerevoli i massi erratici granitici e gneissoidi, veri fratelli sotto ogni rapporto di quegli altri che in tanta copia si trovano qui alle porte della città nostra, a S. Giovanni Pedemonte ove i lavori per la Stazione ferroviaria li trassero alla luce.

Anche sul versante ticinese del Generoso trovansi pure massi erratici numerosi e depositi morenici; i quali provengono alla loro volta dall’altro ghiacciaio onde, nell’epoca che i geologi dicono glaciale, venne invaso il bacino del Ceresio. Questi trovanti però si elevano assai meno di quelli che vediamo sul versante lombardo del monte, ed anziché avanzi d’una morena insinuata, si possono considerare siccome residui di una morena semplicemente laterale. È un’altra pagina della gran storia della terra, scritta dalla natura con caratteri indelebili non meno che eloquenti e veritieri per chi vuole e sa leggerli.

Né l’interesse che il Generoso suscita nell’animo del geologo si limita a questo monte soltanto. I suoi dintorni al pari delle valli e dei monti minori che gli fanno corona, offrono vasto argomento a profondi studi e ad importanti osservazioni, vuoi per  la  loro natura mineralogica, vuoi per la disposizione delle varie loro parti in rapporto colla differente epoca di formazione, o per i fossili che spesseggiano nelle loro viscere, e che, vere medaglie della natura, narrano le vicende di essa. L’indole di questo scritto non ci permette di diffonderci più a lungo, e di affrontare il pericolo di abusare stranamente della indulgenza del lettore. Facciamo punto, pertanto, e rimandiamo chi brama più ampie notizie in siffatto argomento ai molti libri che più specialmente ne discorrono.

Se non che non possiamo proprio staccarci da questa montagna cotanto interessante, senza fare un rapido cenno delle molte ricchezze botaniche sparse sui suoi fianchi e sulle sue creste.

I botanici chiamarono il Generoso princeps montium, ed anzi il nome suo vuolsi derivi dalla generosità veramente principesca colla quale esso offre le più peregrine specie di piante alpestri ed alpine. Infatti la flora del Generoso è prodigiosamente ricca, imperocchè dall’ulivo, dal gelsomino e dal melagrano, che vegetano alle sue falde lungo le rive incantate del Lario e del Ceresio, si giunge per una serie interminabile di specie vegetali che caratterizzano climi disparatissimi, fino alle sassifraghe, alle cine­rarie, alle silene, alla rosa alpina e ad altre piante predilette dalle regioni alpine. Innumerevoli poi sono i fiorellini che nella estiva stagione aprono le loro vaghe corolle al sole. Il quale, quasi si compiaccia delle graziose loro forme, le accarezza e le riveste di colori splendidi, vivaci, seducenti, nel mentre che condensa nelle loro foglioline i più soavi olezzi. Così attorno a quei fiori vezzosi e fragranti vengono a volteggiare non poche farfalle, altrettanto belle così per eleganza di forme, come per  vivacità  di  colori.

Né alla flora del Generoso fanno difetto le piante medicinali e le venefiche, giacché la belladonna, il giusquiamo, l’aconito, l’elleboro, la cicuta, la genziana, ed altre molte vi sono indigene e ricercate per la singo­lare potenza dei succhi loro propri. La quale potenza si rivela eziandio in tutte le erbe montanine che servono di pascolo ai molti animali bovini di cui in estate si popolano i numerosi stalli alpini sparsi sul Generoso. L’aroma di queste erbe da una particolare e straor­dinaria squisitezza ai latticini che si preparano in quei casolari; e se 1′ arte di fabbricare i formaggi fosse praticata secondo i più sani principi della scienza e della esperienza moderna anziché dietro la scorta di un rozzo empirismo tradizionale, non v’ha dubbio che i formaggi del Generoso potrebbero con onore gareggiare coi migliori che vantino le più rinomate valli della Svizzera.

Non è officio nostro il tessere l’elenco dei moltissimi vegetali d’ ogni specie che arricchiscono il Generoso, e lo rendono oltre modo caro ai botanici. A chi desiderasse maggiori notizie in proposito additiamo due eccellenti e dotte pubblicazioni, nelle quali lo studioso troverà larga messe di istruzione. L’ una è la Flora comense del prof. Giuseppe Comolli, diligente descrizione di tutte le piante che vivono nel territorio della Provincia di Como ; 1′ altra è la Flora medica comense del dottor cav. Giberto Scotti, che, trattando in ispecial modo delle piante d’ uso medicinale , porge un vero tesoro di cognizioni, preziosissime così allo scienziato come a chiunque collo studio della natura cerchi di arricchire la mente di cose utili a sapersi.

Soltanto da pochi anni il Monte Generoso inco­minciò ad essere conosciuto, ed in breve acquistò quella invidiabile rinomanza per la  quale  è singolarmente ricercato dal forastiere, che ama il bello della natura e viene a gustarlo nel paese nostro. Ciò si deve in singolar modo, per non dire esclusivamente, al signor dottor Pasta, il quale con un coraggio più unico che raro diè vita al grandioso Stabilimento che porge ogni maggior agio per visitare questo attraentissimo fra i monti delle Prealpi Lombarde. Ma quante altre cime potrebbero per molti rapporti gareggiare col Generoso, ed al pari di esso far pompa al forastiere delle so­vrumane bellezze del nostro paese. I Corni di Canzo, il S. Primo, il Campo dei Fiori, il Monte Barro, e cento e cento altri monti, e cento e cento altre località nelle Prealpi che fanno maestosa corona ai ridenti colli ed agli ubertosi piani lombardi, potrebbero essere quello che è il Generoso, vale a dire un geniale e delizioso soggiorno per coloro che amano di con­templare e di godere quanto la natura possiede di più bello e di più ammirando. A tutti questi luoghi noi auguriamo di gran cuore un dottor Pasta, che sappia coll’arte centuplicare le attrattive della natura, e vi alletti il forastiere, al quale ora mai non bastano il bel cielo, il clima mite, il sole splendidissimo.